La professoressa Ester Macrì dell’Università degli studi di Firenze affronta l’argomento “Smart working e smart learning”.

La pandemia – argomenta la Docente – ha posto il focus, un nuovo focus, su un nuovo modo di lavorare, il cosiddetto Smart working. Tuttavia è nato un po’ un fraintendimento sul termine Smart working, perché spesso lo si è confuso con quello che è semplicemente il lavoro da remoto, o telelavoro, cioè lavorare da casa, trasferire la propria azione lavorativa a casa, alla scrivania di casa propria. In realtà lo Smart working è qualcosa di più complesso: si tratta di un’organizzazione differente del lavoro che prevede il lavoro per obiettivi, quindi non più un lavoro che va a fasce orarie, che ha un orario d’inizio e un orario di fine, ma un lavoro che va verso il conseguimento di un certo obiettivo. Il lavoratore sa che deve raggiungere quell’obiettivo e può organizzarsi per raggiungerlo nei tempi e nei modi – e anche nello spazio – in cui crede che quell’obiettivo sia conseguito al meglio.

La caratteristica principale dello Smart working è proprio la sua estrema flessibilità, e questo da un lato permette di massimizzare il benessere del lavoratore, il quale è capace di gestirsi i suoi tempi e i suoi spazi – e spesso questo può essere anche più conciliabile con la vita privata del lavoratore; dall’altro lato c’è anche un beneficio in termini di impatto ambientale: pensiamo a quanto durante la pandemia il lavoro non in sede o comunque la riduzione del lavoro “fisico” ci abbia permesso di risparmiare in termini ecologici e quindi di impatto, di spostamenti, di inquinamento e di emissione.

Quali sono però i problemi aperti legati allo Smart working? Vi è il fatto che se il lavoratore rimane sempre isolato, questo non ha un buon impatto a livello psicologico; oltretutto mischiare troppo il piano domestico con quello lavorativo può portare anche a una grossa pesantezza, alla percezione di star lavorando sempre senza mai interruzione, senza più una distinzione tra vita privata e vita lavorativa.

Allora, per far fronte a questo che cosa bisogna fare? Bisogna costruire un modello integrato, un modello che permette al lavoratore di avere un approccio “smart” al lavoro, ma con possibilità di incontro anche fisico e con spazi divisi tra spazi di lavoro e spazi di vita privata. Se negli anni a venire saremo sempre più propensi a costruire questo tipo di modello di lavoro forse riusciremo a trarne un beneficio sia in termini di benessere del lavoratore sia in termini di risultati.

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